28) Domenico Corvi
Viterbo, 1721- Roma, 1803Il giuramento di Bruto davanti al corpo di Lucrezia

1787-1788 circa

olio su tela, cm 97 x 135

Domenico Corvi è tra gli artisti più colti e originali del tardo Settecento romano. Nasce a Viterbo nel 1721, si forma a Roma e nel 1756 è ammesso all’Accademia di San Luca, ottenendo così un importante riconoscimento della sua professione: studioso di prospettiva e anatomia, stupisce i suoi contemporanei per l’abilità nel realizzare disegni dal nudo, definiti dal suo biografo “pregiatissimi”. Come tanti artisti e letterati della fine del Settecento, Corvi si accosta al gusto Neoclassico e all’interesse per l’antico tanto diffuso nella sua epoca. Sono anni in cui si intensificano le campagne di scavo, finalizzate soprattutto a reperire sculture o affreschi, e nasce l’archeologia come scienza moderna. I soggetti e i temi tratti dalla letteratura e dalla storia classica godono di nuova fortuna e diventano un modo per trasmettere messaggi patriottici e ideali.

Anche in questa tela, come in altri lavori, Domenico Corvi conferma la sua bravura come pittore di storia sia nella scelta del soggetto che per la composizione della scena.

L’episodio è tratto dalla Storia di Roma Ab Urbe condita narrata dallo storico latino Tito Livio: Lucrezia, moglie di Collatino, subisce violenza da parte di Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re di Roma Tarquinio il Superbo. Per l’infamia subita e la vergogna, tra le lacrime, la donna si uccide davanti agli occhi dei suoi cari con un pugnale che aveva nascosto sotto l’abito esclamando “E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l’esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!”. Lucrezia, esempio di integrità e di virtù morale, diventa il simbolo della rivolta contro ogni tipo di tirannide.

Corvi sceglie di rappresentare gli istanti che seguono il suicidio, cioè il momento in cui Lucio Giunio Bruto ha appena estratto il pugnale dal petto di Lucrezia e sta giurando di vendicare la donna e allontanare i Tarquini da Roma. L’episodio è ambientato all’interno di una architettura classica ricostruita con grande attenzione: il pavimento è decorato con marmi colorati che disegnano linee geometriche, secondo la tecnica dell’opus sectile usata dai Romani per abbellire case ed edifici pubblici importanti, e lo sfondo è monumentale, con statue antiche che decorano le nicchie tra i pilastri.

Il corpo di Lucrezia è al centro della scena adagiato senza vita tra le braccia del marito Collatino disperato; la pelle della donna è pallida e si uniforma alle vesti chiare che lasciano scoperto il petto. Collatino inginocchiato sorregge con il braccio sinistro il corpo della moglie mentre la destra è portata verso il petto in un gesto di dolore, la testa è reclinata all’indietro. Bruto è in piedi a sinistra accanto alla coppia. Indossa sul busto una corazza su cui è poggiato un mantello rosso, fa il suo giuramento mentre indica con la mano sinistra il corpo della donna e con lo sguardo al cielo alza il pugnale insanguinato con la destra.  Due figure maschili rappresentate di profilo, chiuse nel loro dolore, stanno in piedi a destra e a sinistra della scena. La prima a destra, è avvolta in un ampio mantello marrone che lascia vedere le gambe nude, l’altra, invece, quasi di spalle all’osservatore, indossa una tunica gialla e un grande mantello azzurro. Da un arco a sinistra e in secondo piano alcune donne accorrono sconvolte.